"L'uomo è come un pescatore saggio che gettò la rete in mare e la ritirò piena di piccoli pesci. Tra quelli il pescatore saggio scoprì un ottimo pesce grosso. Rigettò tutti gli altri pesci in mare, e poté scegliere il pesce grosso con facilità. Chiunque qui abbia due buone orecchie ascolti!"
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Obama, la crisi e il nuovo ordine mondiale

Milano (AsiaNews)
Un nuovo ordine mondiale, da tempo programmato, sta per essere reso “inevitabile”. Molti politici ed economisti si affrettano a dire che ciò comporterà gravi sacrifici, ma ad ogni persona “ragionevole” è evidente che si tratta di sofferenze e disagi del tutto “necessari”. Catalizzatore di questa riformulazione del pianeta è la crisi economica di cui siamo vittime. Questa crisi a fuoco lento, da immobiliare, bancaria e finanziaria, sta ormai toccando l’industria, l’agricoltura e tutta l’economia; dall’epicentro statunitense sta raggiungendo in vari gradi tutto il mondo. Il timore di reazioni a catena su possibili sconvolgimenti economici politici e sociali, la paura di anarchia in ogni campo, forniranno lo strumento necessario per attuare questo nuovo ordine, che i più vedranno come l’unico esito possibile. In tal modo, dovranno essere riformulati il governo; il direttorio mondiale della finanza, dell’economia e della fiscalità; quello dell’ordine pubblico, del sistema penale, della regolamentazione dei rapporti privati dentro e fuori l’ambito familiare; della sovranità di ciascun popolo, della possibilità stessa di esprimere opinioni difformi dal pensiero unico relativista: tutto ciò sarà considerato l’unica soluzione di fatto disponibile ed auspicabile.

Il nuovo ordine e il G 20
Fino a pochi decenni fa, tale nuovo ordine mondiale sarebbe stato considerato con orrore, un incubo, l’anticamera di una dittatura planetaria. Invece, d’ora in poi i capi delle nazioni saranno lodati per aver dato prova, in un momento difficile, di senso del bene comune per tutti i popoli della terra e di interesse verso tutti gli strati sociali. Beninteso, questo è quanto ci verrà detto - temiamo molto presto - a ben più chiare lettere di quanto oggi possiamo intuire. Del resto, già da tempo, si parla della necessità di “regole”, di una nuova Bretton Woods. L’occasione più probabile in cui ci verrà fornito il nome della medicina “miracolosa” è stata informalmente la riunione dei vertici politici ed istituzionali del G 20, a Washington il 15 novembre. La “medicina” sarebbe una banca centrale mondiale che regolamenti la moneta unica di riferimento ed i rapporti di questa con le sotto-denominazioni locali del sistema.
Al G 20, dopo una breve lezioncina ed una frettolosa diagnosi sulle difficoltà attuali – “è tutta colpa di quegli scriteriati liberisti di Bush” - la cura per sanare la terribile crisi ci verrà impartita proprio dai maggiori responsabili di questa stessa crisi. Basta vedere chi ha maggiormente finanziato la più dispendiosa campagna elettorale per la presidenza dell’ex superpotenza americana (oltre un miliardo di dollari, in un momento di pesante recessione). Come sempre e come è ovvio, chi aveva interesse ha giocato su entrambi i tavoli per ogni evenienza; ma alla fine, come sappiamo, ha prevalso Barack Obama, anche in termini di spese: quasi il doppio in termini assoluti di quelle del candidato repubblicano. Oltre ai soliti settori - il mondo dello spettacolo e dell’informazione, quello universitario e dell’istruzione, dell’informatica e di internet - i contributi per il nuovo presidente sono venuti in particolare dai fondi speculativi (“hedge funds”); dagli studi legali (anch’essi traggono risorse dalle complesse alchimie dei contratti di finanza creativa); dai fondi di “private equity”. Per non cambiare nulla, occorreva che all’apparenza cambiasse tutto. In fondo, anzi in superficie, è bastato poco: il colore un po’ più scuro della pelle del nuovo presidente. Per il resto, il governo del nuovo presidente è composto, dai “soliti” responsabili, di fatto irresponsabili. Guardiamo ai nomi in lizza per il ministero del Tesoro: Larry Summers, Tim Geithner e Robert Rubin. Sono tutti ultra-liberisti, persone che hanno sempre sostenuto la necessità di svincolare la finanza da ogni regola, dei nemici della legge Glass-Steagall.
Essi sono coloro che, nel girotondo d’incarichi per i membri del clan – al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, nei governi del presidente Clinton, sotto l’ala di Alan Greenspan e di Ben Shalom Bernanke, o addirittura al vertice della Federal Reserve Bank di New York (Geithner) – hanno di fatto pilotato tutti gli sviluppi precedenti e successivi all’emergere della crisi odierna.

I volti vecchi del governo di Obama
Come capo di gabinetto, Obama ha scelto Emanuel Rahm, che vanta una carriera a cavallo tra la politica e le grandi case finanziarie di Wall Street. Nel suo caso c’è pure dell’altro. Non solo il padre di Rahm era membro dell’Irgun, ma lui stesso ha anche la cittadinanza israeliana, ha combattuto per Israele, è il referente per le forze armate israeliane ed ha patrocinato lo scorso 4 giugno la candidatura di Obama ai vertici dell’AIPAC – l’organizzazione sionista americana finanziata anche dallo Stato di Israele e coinvolta in alcuni recenti casi di spionaggio. In Israele hanno commentato: “[Rahm] è il nostro uomo alla Casa Bianca”. Questa osservazione ci porta a considerare che forse la scelta tra i due candidati non era equivalente.
A lungo in altalena nei sondaggi, dopo un’apparente prodigiosa rimonta, lo schieramento repubblicano, rafforzato nelle propensioni degli elettori dalla vicenda della Georgia, è iniziato a precipitare in modo definitivo da quando il presidente Bush, a fine agosto, ha negato la fornitura di aerei-cisterna necessari all’aviazione israeliana per un’incursione a lungo raggio, rifiutando con ciò l’avallo del governo americano ad un attacco contro l’Iran. Pochi giorni dopo anche le quotazioni delle materie prime ed in primo luogo del petrolio, su cui le grandi banche d’affari avevano pesantemente scommesso per compensare le perdite sui mutui immobiliari, hanno iniziato a sgonfiarsi per poi precipitare con le borse di tutto il mondo a partire dai primi di settembre.

La democrazia e la moneta

Da tutte queste premesse è chiaro che la presidenza Obama non porterà cambiamenti di rotta nella gestione della crisi finanziaria; al contrario rafforzerà la tendenza a proteggere le grandi istituzioni ed industrie a scapito delle piccole imprese e del cittadino medio che gli ha dato il voto. Soprattutto è anche chiaro che nel G 20 di Washington non verrà per nulla scalfita la questione centrale dell’attuale crisi finanziaria ed economica – e delle tante altre precedenti crisi della modernità e della postmodernità – cioè la sovranità e legittimità di sistema. Nel mondo a noi contemporaneo, l’unico regime considerato pienamente legittimo, in termini di potere politico ed economico, è quello democratico. Per la diffusione della democrazia nel mondo sono state combattute molte guerre ed in democrazia, per definizione, sovrano è il popolo. Se, però, una democrazia evoluta e complessa come quella americana può essere pilotata – nel senso che all’elettore è lasciata l’illusione di scegliere mentre in realtà è il marketing politico che, come nei supermercati, guida gli orientamenti – da chi dispone di grandi risorse monetarie, non si può più affermare che la legittimità del sistema sta nel consenso popolare. Questo può essere comprato e, dunque, nella disponibilità stessa di moneta si fonda il consenso ed il potere in democrazia. Non si tratta certo di considerazioni nuove, ma il punto cruciale è che l’emissione della moneta è di per se stessa un atto sovrano, nel senso che la circolazione della moneta è imposta per legge: un creditore non può rifiutare un pagamento in moneta avente corso legale e pretendere invece una diversa prestazione a suo piacimento (oro, argento, o altro), se non l’ha concordato prima. Chi controlla l’emissione della moneta, mediante regole scritte ad hoc, può favorire chi conviene o è più gradito. Il paradosso della moderna democrazia è che il popolo sovrano – nei suoi supposti rappresentanti, i parlamenti, i capi di Stato e di governo – non ha di fatto e di diritto alcun potere all’interno della Fed (ma anche della Bce, la Banca centrale europea) – in riferimento ad un atto sovrano di primaria importanza. A tutela pubblica e per evitare le intromissioni della politica, l’emissione della moneta è stata privatizzata e sottratta al controllo pubblico. Il Sovrano, nei suoi rappresentanti, è inaffidabile e quindi in concreto non è sovrano. Non tutti sanno infatti che la Fed è un organismo di diritto privato così come ad esempio la Banca d’Italia e molte altre banche centrali nel mondo. È così dagli albori del parlamentarismo, da poco dopo la “Glorious Revolution” nel 1688.

Martedì 18 Novembre 2008 – 16:09 – Maurizio d'Orlando
www.centrostudifederici.org (AsiaNews)

Tratto dal sito Rinascita

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