"L'uomo è come un pescatore saggio che gettò la rete in mare e la ritirò piena di piccoli pesci. Tra quelli il pescatore saggio scoprì un ottimo pesce grosso. Rigettò tutti gli altri pesci in mare, e poté scegliere il pesce grosso con facilità. Chiunque qui abbia due buone orecchie ascolti!"
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Questi filosofi sciagurati...

Ateismo e religione
Già gli antichi non ignoravano che vi erano popoli i quali vivevano senza Dio e non avevano mai avuto una religione. Le relazioni di viaggiatori di questi ultimi tempi ci offrono una quantità di altri esempi.
La religione è una cosa che, una volta stabilitasi in un paese, deve durarvi in eterno. Vi si è legati per motivi di interesse, per la felicità temporale e per quella eterna. Ci si aspetta dagli dei la fertilità dei raccolti, il successo delle iniziative: si teme che essi possano mandare la sterilità, le pestilenze, le tempeste e varie altre calamità, e di conseguenza si osservano i culti pubblici della religione, indotti sia dalla paura che dalla speranza, e ci si da premura di cominciare di qui l'educazione dei bambini e di raccomandare loro la religione come cosa di fondamentale importanza, fonte di ogni felicità o sciagura a seconda che gli onori che spettano agli dei siano resi loro con diligenza o con negligenza.
Sentimenti di tal sorta, succhiati insieme col latte, non si cancellano dallo spirito di una nazione; possono modificarsi in diversi modi, si possono cioè mutare cerimonie e dogmi, ma quei sentimenti non spariranno mai del tutto, tenuto conto soprattutto del fatto che chi vuoi costringere un popolo in materia di religione non lo fa mai per condurlo all'ateismo, bensì sempre per sostituire ai formulari che non piacciono, nel culto e nella credenza, formulari diversi.
Poiché dunque vi sono popoli che non ammettono nessuna divinità, bisogna concludere che si sono trovati in quello stato fino dalle origini e fino a che la provvidenza non ha promosso persone singolari che hanno formato le repubbliche, le hanno stabilite e le hanno adornate di belle leggi.
L'opera di queste persone ha civilizzato gli uomini selvaggi e ha dato loro un gusto nuovo con l'introduzione delle arti e delle scienze, e soprattutto del culto degli dei; ma qualche popolo è rimasto privo di questo vantaggio.
Può davvero la voce della natura farsi sentire sotto questo grosso cumulo di arti e di scienze, di leggi e di mode, di statuti e di costumi, e di cento altre invenzioni dello spirito umano? Non c'è forse da temere che una voce che deve passare attraverso tanti canali sia piuttosto la voce dell'artificio che non quella della natura? Non vi è forse motivo di sospettare che lo stesso legislatore abbia cominciato a insegnare il culto degli dei?
(P. Bayle, Pensées sur la comète de 1680, in A. Minerbi Belgrado, Materialismo e origine della religione nel '700.)


Gli inganni dei sacerdoti
Io cerco di parlare in modo molto comprensibile, e oso sperare che le mie affermazioni porteranno con sé la loro luce. Questo lavoro, lo ammetto, non è di alcuna utilità per i filosofi, ma costituisce un vantaggio considerevole per la gente comune, che io sono ben lontano dal trascurare, come fanno coloro che in ogni prefazione dicono di non cercare il suo favore e di non preoccuparsene. Mi chiedo come chiunque possa parlare in questo modo, specialmente fra coloro il cui compito è di essere al servizio del popolo e risparmiargli la fatica di uno studio lungo e difficile, che le sue comuni occupazioni non consentono. I laici pagano per i libri e il mantenimento degli ecclesiastici a questo scopo.
E nessuno può dedurre, da questo compito del clero, che il popolo debba accettare implicitamente le sue imposizioni arbitrarie, così come io non sono obbligato a cedere la mia ragione a colui che impiego per leggere, trascrivere o raccogliere per me. Il sapiente non crederà alla bontà del pane o della birra in base alla parola del fornaio o del birraio, se essa è in contrasto con l'esperienza del proprio gusto, per quanto sia ignorante del loro mestiere.
E perché la gente comune non può in modo analogo giudicare circa il vero significato delle cose religiose, anche se non comprende le lingue dalle quali sono tradotte per il suo uso? La verità è sempre e dovunque la stessa: e un'affermazione incomprensibile o assurda non deve essere rispettata solo per la sua antichità e stravaganza, per essere stata originariamente scritta in latino, in greco o in ebraico.
I poveri, che si ritiene non comprendano i sistemi filosofici, presto colsero la differenza tra i semplici e convincenti insegnamenti di Cristo e gli intricati e inutili discorsi degli scribi. I rabbini ebrei, divisi in quell'epoca in sette stoiche, platoniche e pitagoriche, ecc, con la libertà folle delle loro interpretazioni
allegoriche adattavano infatti la Scrittura alle speculazioni sfrenate dei loro numerosi maestri. Facevano credere al popolo, che non capiva nulla delle loro osservazioni cabalistiche, che questi fossero tutti profondi misteri; e così gli insegnavano la sottomissione a riti paganeggianti, mentre riducevano a nulla la legge di Dio. Nessuna meraviglia, dunque, se le persone disinteressate e i più onesti tra i governanti rifiutarono queste superstizioni assurde per una religione adatta alle capacità di tutti, delineata e predetta dai profeti e rivelata da Cristo.
Ma, come ho detto sopra, la sola rivelazione non è un motivo che renda necessario un consenso, ma è un mezzo d'informazione. Non dovremmo confondere il modo in cui veniamo a conoscenza di una cosa con le ragioni che abbiamo per credervi. Una persona può informarmi su mille cose di cui non ho mai sentito parlare prima, a cui non penserei affatto se non mi fossero state dette; tuttavia non credo a nulla in base alla sua sola parola, se manca la evidenza delle cose stesse.
Invece i teologi antichi, come molti dei loro successori moderni, amavano troppo i loro ridicoli sistemi di avvolgere ogni frase nel mistero e adornarla con qualche figura retorica, non considerando che solo le argomentazioni false e insulse hanno bisogno dell'aiuto di discorsi attraenti per confondere o divertire. Essi si vantavano della loro abilità nel persuadere pro o contro ogni cosa. E come era stimato miglior oratore colui che faceva apparire giusta ai giudici la causa peggiore, così il miglior filosofo era colui che riusciva a far passare per dimostrazione il più stravagante paradosso.
Essi si occupavano solo della propria fama e del guadagno, che non potevano assicurarsi se non ingannando il popolo con la loro autorità e abilità sofistica: e con la scusa di istruire, lo mantenevano abilmente nella più grossolana ignoranza.
(Q. Toland, Christianity not Mysterious.)

Trattato dei tre impostori
Tutti quelli che ignorano le cause fisiche sono naturalmente in preda alla paura che procede dall'inquietudine e dal dubbio circa l'esistenza di un Essere o di una potenza che abbia il potere di nuocere loro o di conservarli. E qui l'inclinazione a immaginarsi cause invisibili, che non sono null'altro che i fantasmi della loro immaginazione, invocati nell'avversità e lodati nella prosperità. Alla fine se ne fanno degli dei, e questa chimerica paura delle potenze invisibili è l'origine delle religioni che ciascuno si plasma a suo modo.Coloro che avevano interesse a che il popolo fosse contenuto e frenato da simili fantasticherie hanno coltivato questo germe della religione, ne hanno fatto una legge, e alla fine, grazie al terrore del futuro, hanno ridotto i popoli ad obbedire ciecamente.
I fondatori delle religioni, rendendosi conto chiaramente che la base delle loro imposture era l'ignoranza dei popoli, pensarono di mantenerveli attraverso l'adorazione delle immagini, fingendo che gli dei vi risiedessero; e questo fece cadere sui loro preti una pioggia d'oro e di benefici, ritenute cose sacre, perché destinate all'uso dei ministri consacrati.
Per meglio ingannare il popolo, i preti si presentarono come profeti, indovini, ispirati capaci di penetrare il futuro, si vantarono di intrattenere rapporti con gli dei; e poiché è naturale che si desideri conoscere il proprio destino, quegli impostori si fecero premura di non trascurare una circostanza così favorevole al loro progetto.
(Traité des trois imposteurs, in A. Minerbi Belgrado - Materialismo e origine dello religione nel '700)

L'origine della religione, secondo Hume
La credenza in un potere invisibile e intelligente è stata sempre diffusa largamente nella razza umana, in tutti i luoghi e in tutte le età, ma non è mai stata così universale da non ammettere eccezioni, né ha suggerito idee del tutto uniformi. Si è scoperto qualche popolo privo di sentimenti religiosi, se c'è da credere a quel che dicono i viaggiatori e gli storici; e non esistono due popoli, e nemmeno due uomini qualsiasi, che siano perfettamente convinti della medesima opinione. Sembra dunque che questi preconcetti non sorgano da un istinto o da un impulso spontaneo della natura, come quello donde nascono l'amor proprio, l'affezione tra i due sessi, l'amore dei figli, la gratitudine, il risentimento: giacché ogni istinto di questo genere risulta per esperienza assolutamente universale in tutti i popoli e in tutte le età. I primi principi religiosi debbono essere secondari, poiché varie cause e accidenti possono pervertirli, e anche i loro effetti, in alcuni casi - per un concorso straordinario di circostanze - possono essere totalmente pervertiti.

Quali siano i principi che danno luogo alla credenza originaria, e quali le cause e gli accidenti che ne guidano le manifestazioni, sarà argomento di questa nostra indagine.
Considerando il progresso della società umana dalle sue rozze origini ad oggi condizione di maggior perfezione, ne deduco che il politeismo e l'idolatria fu, e necessariamente dovette essere, la prima e la più antica religione del genere umano. Atteniamoci alla chiara testimonianza della storia.
Quanto più rimontiamo verso l'antichità, tanto più troviamo il genere umano immerso nei politeismo. Nessun sogno, nessun sintomo di una religione più perfetta. Sembra certo, secondo il progresso naturale del pensiero umano, che il volgo ignorante debba avere nozioni elementari circa le potenze supreme, prima di elevare i suoi concetti all'essere perfetto che ordinò tutta la struttura del mondo. Immaginare che l'uomo abbia abitato palazzi prima di abitare capanne, oppure che abbia studiato la geometria prima dell'agricoltura, sarebbe altrettanto ragionevole quanto pensare che la divinità gli sia apparsa come uno spirito puro, onnisciente, onnipotente e onnipresente, prima che come un essere potentissimo, anche se limitato, fornito di passioni, appetiti, membra e organi umani.

La mente risale gradualmente dal basso verso l'alto. Operando astrazioni su ciò che è imperfetto, si forma un'idea di perfezione. Un animale barbaro e bisognoso, qual è l'uomo all'origine della società, pressato da bisogni e da passioni molteplici, non ha agio di ammirare l'ordinato assetto della natura e di far ricerche sulla causa degli oggetti cui si è gradualmente assuefatto fin dall'infanzia. Quanto più la natura sarà regolare e uniforme, tanto più egli si famigliarizzerà con essa, e sarà meno incline a scrutarla e a esaminarla. Un parto mostruoso eccita la sua curiosità e gli appare un prodigio. Lo allarma la sua novità, e subito si da a tremare, a far sacrifici, a pregare.
Possiamo quindi concludere che in ogni nazione che abbia abbracciato il politeismo le prime idee religiose non nacquero dalla contemplazione della natura, ma dall'interesse per gli eventi della vita, dalle speranze e dai timori incessanti che assediavano lo spirito umano. Non si può supporre che agisse su tali barbari alcunché di diverso da una passione corrente nella vita umana: l'ansiosa brama di felicità, il timore della miseria futura, il terrore della morte, gli appetiti naturali che inducono a ricercare il cibo e le altre cose necessarie.
Agitato da speranze e timori di questa natura - specialmente dai timori - l'uomo scruta con curiosità tremebonda il corso delle cause future, ed esanima gli eventi vari e contraddittori della vita. E in questa scena confusa scorge, con occhi ancor più confusi e attoniti, le prime oscure tracce della divinità.
La religione primitiva del genere umano nasce dunque anzitutto dall'ansia riguardo agli eventi futuri. È facile immaginare quale idea l'uomo si possa fare dei poteri invisibili e ignoti, quando sia soggiogato da ogni sorta di cupi terrori. Immagini di vendetta, severità, crudeltà, malizia d'ogni genere si impongono e accrescono l'orrore che opprime e sbigottisce il devoto. Una volta che il panico ha invaso la sua mente, la fertile fantasia moltiplica sempre più i motivi di terrore; mentre l'oscurità profonda, o ancor peggio la luce incerta che lo circonda, gli rappresentano gli spettri della divinità sotto le più spaventose sembianze immaginabili. E non ci sarà abbietta perversità che il devoto terrorizzato non possa attribuire, senza scrupolo, al suo Dio.
Tale, da un primo punto di vista, lo stato naturale della religione. Ma se si considera d'altra parte lo spirito apologetico e propiziatorio inevitabilmente presente in tutte le religioni, tipica conseguenza di tali terrori, dovremo attenderci che abbia il sopravvento un sistema teologico assolutamente diverso.
Ogni virtù, ogni eccellenza sarà attribuita alla divinità, e nessuna esagerazione sarà giudicata degna delle perfezioni di cui appare dotata. Qualunque esaltato panegirico di essa sarà immediatamente accolto, senza alcuna verifica empirica o razionale. V'è dunque contraddizione tra i diversi principi della natura umana che si combinano nella religione. I terrori naturali ci presentano l'idea di una divinità diabolica e malvagia. La tendenza all'adulazione ce ne fa concepire una eccellente e divina.
[D. Hume, The Naturai History of Religion, in A. Minerbi Belgrado - Materialismo e origine della religione nel '700)

Come dovrebbe essere la religione
Dopo la nostra santa religione, che senza dubbio è la sola buona, quale sarebbe la meno cattiva? Non sarebbe forse la più semplice? Non sarebbe quella che insegnasse molta morale e pochissimi dogmi? Che tendesse a rendere giusti gli uomini senza obbligarli a credenze assurde? che non ordinasse di credere a cose impossibili, contraddittorie, ingiuriose per la divinità e dannose al genere umano, e non osasse minacciare di pene eterne chiunque preferisce tenersi al senso comune? Non sarebbe forse una religione che non sostenesse con la sua influenza dei sanguinari tiranni, e che non inondasse la terra di sangue a causa di sofismi incomprensibili? Una religione nella quale un equivoco, un gioco di parole e due o tre documenti falsificati non potessero eguagliare a un sovrano e a un Dio un prete magari incestuoso, omicida e avvelenatore? Una religione che non pretendesse di sottomettere i governi a questo prete? Che insegnasse soltanto ad adorare Iddio, e la giustizia, la tolleranza e l'umanità? Tutto ciò che va oltre l'adorazione di un Essere Supremo e la sottomissione del cuore ai suoi ordini eterni, è superstizione.
Noi rimproveriamo agli antichi i loro oracoli e i loro troppi prodigi: se essi ritornassero al mondo, e riuscissero a contare i miracoli della Madonna di Loreto per paragonarli a quelli della loro Madonna d'Efeso, in favore di chi penderebbe la bilancia?
Così, i sacrifici umani sono stati nel rito di quasi tutti i popoli antichi, ma molto rari nell'uso: fra gli Ebrei abbiamo soltanto la figlia di Jefte e il re Agag, perché Isacco e Gionata non furono mai immolati; tra i Greci la storia di Ifigenia non è neppure certa; e tali sacrifici risultano rarissimi tra i Romani.

In sostanza, la religione pagana è costata pochissimo sangue, mentre la nostra ne ha fatti versare dei fiumi. La nostra è senza dubbio la sola buona/la sola vera; ma noi abbiamo fatto tanto male per mezzo suo, che, quando parliamo delle altre religioni, ci converrebbe osservar la modestia.
Alla Borsa di Amsterdam, di Londra, di Surat, o di Bassora, il guebro, il baniano, l'ebreo, il maomettano, il deista cinese, il bramino, il cristiano greco, il cristiano romano, il cristiano protestante, il cristiano quacchero, trafficano tutto il giorno assieme: e nessuno leverà mai il pugnale sull'altro per guadagnare un'anima alla sua religione. E perché allora noi ci siamo scannati quasi senza interruzione a partire dal primo Concilio di Nicea? Costantino cominciò col dare un editto che permetteva tutte le religioni, e finì persecutore religioso. Prima di lui ci si scagliò contro i cristiani solo perché essi cominciavano a comporre una specie di stato nello Stato.
I Romani permettevano tutti i culti, persino quello degli Ebrei e quello degli Egizi, che pure avevano il loro disprezzo. Ma gli Egizi, e gli stessi Giudei, non cercavano di distruggere l'antica religione dell'Impero, non correvano per terra e per mare allo scopo di fare dei proseliti: pensavano solo a guadagnar denaro. Invece i cristiani volevano che la loro religione fosse la dominante.

San Tommaso ebbe la lealtà di confessare che, se i cristiani non detronizzarono gli imperatori, è perché non lo poterono. La loro opinione era che tutta la terra deve essere cristiana: essi erano dunque necessariamente nemici di tutta la terra, fino a che non riuscissero a convertirla. Essi erano poi nemici fra di loro, su tutti i punti controversi della loro religione.
Bisogna cominciare a considerare Gesù come un Dio? Quelli che dicono di no, sono anatemizzati. Alcuni di loro vogliono che tutti i beni siano in comune, come si sostiene che fossero ai tempi degli apostoli? I loro avversari li chiamano "nicolaiti", e li accusano dei delitti più infami. Altri tendono ad una devozione mistica? Vengono chiamati "gnostici" e perseguitati con furore. Insensati, che non avete mai saputo adorare con purezza d'animo il Dio che vi ha creati! San Paolo ha avuto ragione quando ha detto che la carità val meglio della fede e della speranza.
[Voltaire, Dictionaire philosophique.]

La bibbia del materialismo ateo
Se non fosse esistito alcun male al mondo, l'uomo non avrebbe mai pensato alla divinità. Se la natura gli avesse concesso di soddisfare facilmente tutti i suoi bisogni, e di provare soltanto sensazioni piacevoli, i suoi giorni sarebbero trascorsi in una perpetua uniformità e non avrebbe avuto nessun motivo di ricercare le cause ignote delle cose.
Se l'uomo fosse sempre pago si preoccuperebbe solo di godere del presente, di percepire gli oggetti che di continuo lo farebbero consapevole della sua esistenza, in un modo cui egli necessariamente assentirebbe. Niente metterebbe il suo cuore in apprensione. Invece, indipendentemente dai bisogni che ad ogni istante si rinnovano nell'uomo e che spesso non può soddisfare, ciascuno ha provato una quantità di guai; ha sofferto per l'inclemenza delle stagioni, le carestie, le epidemie, gli incidenti, le malattie ecc.
Perciò tutti gli uomini sono paurosi e diffidenti. L'esperienza del dolore ci rende apprensivi di fronte a tutte le cause ignote, di cui cioè non si sono ancora provati gli effetti. E quanto più l'uomo è ignorante, o privo di esperienza, tanto più soggiace al terrore. Tale ignoranza era certo più grande ancora nelle epoche remote, quando lo spirito umano, nella sua infanzia, non aveva ancora compiuto le esperienze e i progressi che oggi vediamo. Tutte le cause dovettero quindi essere misteri per i nostri selvaggi antenati; tutto ciò che videro dovette apparire loro inusitato, strano, spaventoso.
Alle origini, vedendosi spesso afflitti e maltrattati dalla natura, gli uomini supposero negli elementi o negli agenti celati che li regolavano volontà, intenzioni, bisogni, desideri analoghi a quelli dell'uomo. Di qui i sacrifici immaginati per nutrirli, le libagioni per abbeverarli, fumo e incenso per pascerne l'odorato. Dapprima si offrirono i frutti della terra, in seguito si servirono carni, si immolarono agnelli, giovenche, tori. Vedendoli quasi sempre irritati contro l'uomo, si passò, a poco a poco, a sacrificare loro bambini, uomini.

Alla fine il delirio dell'immaginazione fece credere che l'agente sovrano che presiede alla natura disdegnasse le offerte tratte dalla terra e potesse essere placato solo dal sacrificio di un Dio.
L'idea di un Dio unico nacque in conseguenza dell'opinione che faceva di questo Dio l'anima dell'universo, e tuttavia non poté essere che il frutto tardivo delle meditazioni umane. Lo spettacolo degli effetti diversi e spesso contraddittori che si operavano nel mondo dovette creare la convinzione che vi fossero un gran numero di potenze o di cause distinte e reciprocamente indipendenti: ammisero dunque molteplici cause o molteplici dei agenti in base a principi diversi, e videro negli uni potenze amiche, negli altri potenze nemiche del genere umano. Tale l'origine del dogma così antico e universale che suppone nella natura due principi o potenze mossi da interessi opposti e in perpetua guerra, con cui si credette di spiegare la mescolanza costante di beni e di mali, di prosperità e di sciagure, le vicissitudini insomma cui il genere umano soggiace in questo mondo.
Tuttavia, a forza di meditare, alcuni pensatori sono giunti a non ammettere nell'universo che una sola divinità, la cui potenza e saggezza bastassero a governarlo. Ciononostante, fin dai primi passi, il loro spirito dovette cadere nel più grande imbarazzo per le contraddizioni di cui si dovette supporre che questo Dio fosse autore, si fu quindi costretti ad ammettere in questo Dio monarca qualità contraddittorie, incompatibili, disparate. Nel supporre un Dio unico autore di tutte le cose non si poté fare a meno di attribuirgli una bontà,una saggezza, un potere illimitato, ma d'altro canto, come non attribuirgli malizia, imprudenza, capriccio, nel vedere i frequenti disordini e i mali innumerevoli di cui il genere umano è così spesso vittima e il mondo teatro? Perciò vediamo gli adoratori di un Dio indicato sempre come il modello della bontà, dell'equità e di tutte le perfezioni, abbandonarsi alle stravaganze più crudeli.
Tutti i sistemi religiosi degli uomini, i sacrifici, le preghiere, le pratiche e le cerimonie non hanno mai avuto altro scopo che quello di stornare il furore della divinità, prevenirne i capricci e stimolare in lei il sentimento della bontà da cui la si vedeva allontanarsi ad ogni momento. Tutti gli sforzi, tutte le sottigliezze della teologia non hanno avuto altro scopo che quello di conciliare, nel sovrano della natura, le idee discordi che essa stessa aveva fatto sorgere nello spirito dei mortali. In una parola la teologia include tra le qualità di Dio il privilegio di agire contro tutte le leggi della natura e della ragione, mentre proprio sulla ragione si dovrebbe fondare il culto che gli dobbiamo e la morale.
[P.H. d'Holbach, Syistème de la nature, in A. Minerbi Belgrado, Materialismo e origine della religione nel 700, pp. 73-74, 79 e 85.]


Questi filosofi sciagurati...Qualcosa di molto grave esige un Nostro discorso o piuttosto rivendica le Nostre lacrime più abbondanti, e cioè quel morbo pestilenziale, che la malvagità dei nostri tempi ha dato alla luce; affinchè unanimemente, e riunendo tutte le nostre forze, apprestiamo la medicina necessaria, perché per nostra negligenza tale peste non si conservi e non cresca nella Chiesa fino a divenire incurabile. Sembra infatti in questi giorni che sovrastino quei "tempi pericolosi", che profetizzò l'apostolo Paolo, nei quali gli uomini ameranno se stessi, saranno tronfi di superbia, bestemmiatori, traditori, amanti dei piaceri più che di Dio, sempre in atto d'imparare e non mai in grado di possedere la conoscenza della verità, non privi di una specie di religione, ma rifiutando di riconoscerne il valore.
Questi si erigono a maestri "quanto mai menzogneri", come li chiama il primo apostolo Pietro, e diffondono dottrine di perdizione; e negano quel Dio che li riscattò, attirandosi una rapida rovina. Dicono di essere sapienti, e sono invece divenuti stolti, e oscurato è il loro pazzo arzigogolare. Voi stessi [i vescovi] che siete posti come vedette nella casa del Signore, vedete bene quanti trionfi può vantare quella filosofia piena d'inganni, cioè quella filosofia che nasconde la propria empietà sotto la grande onestà di questo nome, e con quanta facilità attragga a sé e inviti i popoli in folla. Chi potrà dire o immaginare la malvagità dei dogmi e le perfide stravaganze che va mettendo di moda?
Tali uomini, mentre vogliono far mostra di cercare la sapienza, "poiché non la cercano devotamente, cadono in errori così grandi che non conservano neppure più la sapienza comune". E arrivano fino al punto d'inventare, con la massima empietà, o che Dio non esiste, o che è ozioso e sfaccendato, che non si prende per nulla cura delle cose nostre e che non rivela nulla agli uomini; e perché non ci sia da meravigliarsi se qualcosa è santo o divino, blaterano che è stato inventato ed escogitato dalla mente degli uomini inesperti, sbigottiti da futile timore dell'avvenire, e allettati da una vana speranza di immortalità.
E questi filosofi sciagurati, spargendo queste tenebre e strappando dal cuore la religione, aspirano anche a questo: che gli uomini sciolgano tutti quei legami dai quali sono uniti fra loro e ai loro superiori, e sono vincolati al loro dovere; essi vanno gridando e imprecando fino alla nausea che l'uomo nasce libero e non è soggetto a nessuno; e che quindi la società è una folla di uomini inetti, che stupidamente si prosternano dinanzi ai sacerdoti, dai quali sono ingannati e dinanzi ai re, dai quali sono oppressi, tanto è vero che l'accordo tra i sacerdoti e i monarchi non è altro che una gigantesca cospirazione a danno della libera natura dell'uomo.
Chi non vede che tali follie, e altre consimili, coperte da molti strati di menzogne, apportano tanto maggior pericolo alla tranquillità e alla quiete pubblica, quanto più si tarda a reprimere l'empietà di coloro che ne sono autori; e che tanto più danneggiano le anime redente dal sangue di Cristo, quanto più si diffonde la loro parola subdola, simile al cancro, e si introduce nelle pubbliche accademie, nelle case dei principali personaggi, nei palazzi dei re, e si insinua, cosa mostruosa, persino nei luoghi sacri?
[Pio VI, Inscrutabili divinae sapientiae consilio (25 dicembre 1775), in C Falconi, Storia delle encicliche]
Documenti estratti da: L'Eresia dagli gnostici a Lefebvre, il lato oscuro del cristianesimo" di Marcello Craveri

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